Abitudine viene da habitus: abito è sia abbigliamento che abitazione. Amo la polisemia di questa parola perché la nostra abitazione è un po’ come un grande abbigliamento e il nostro abbigliamento è un po’ la nostra abitazione. L’uomo si identifica continuamente con il proprio habitus. Perciò quando si perde un’abitudine, assieme a essa si perde un po’ anche della nostra identità, ovvero l’ego. Ogni volta che perdiamo un’abitudine ci rinnoviamo, creiamo dentro noi un’estensione, ci apriamo al nuovo, alle novità, all’inedito. Ci allarghiamo intellettualmente ed emotivamente.
Ho voluto iniziare con le parole di un giovane scrittore italiano, Gio Evan, che questa settimana mi hanno illuminata. Hanno tracciato il sentiero lungo il quale noi tutti ci muoviamo. Chi inconsapevolmente, chi con estrema consapevolezza.
Era forse il 20 dicembre 2020. Io e il mio bagaglio emozionale ci eravamo ritrasferiti in Italia dopo un lungo periodo vissuto all’estero. Io e il mio bagaglio emozionale stavamo facendo a pugni con la timida contentezza di essermi riavvicinata fisicamente alla mia famiglia e il profondo rammarico per aver lasciato un pezzo di me a Lisbona.
Era il 20 dicembre 2020 e mi colpì in tv una pubblicità su un documentario girato da Tosca durante la sua tournée in giro per il Mondo portando la sua Morabeza per le strade di questa nostra terra stupenda …
Un documentario da cui veniva fuori la contaminazione culturale tra lei e i diversi artisti che, nelle varie parti del mondo, aveva incontrato.
Destino ha voluto che la stragrande maggioranza dei luoghi toccati durante la sua tournée fossero a me familiari.
Vedendo Tosca a Rio de Janeiro insieme a Marisa Monte, a Lisbona con Luisa Sobral e tanti altri artisti … lì ho capito che quello che volevo era realizzabile!
Ho capito che la contaminazione culturale è parte integrante di una più universale: quella musicale!
Dopo tre anni dalla visione di quel documentario, mai nei miei sogni più singolari avrei potuto immaginare che non solo Tosca potesse essere mia ospite speciale questa sera, ma che a presiedere questo incontro ci fosse il più grande rappresentante della musica capoverdiana: Mário Lúcio. Uno di quegli artisti così densi che non basterebbe la mia intera vita – vissuta fino ad ora – per descriverne l’immensità. Mário Lúcio, ex ministro della cultura di Capo Verde, scrittore e musicista, è portavoce di un movimento chiamato di creolizzazione. La parola creolizzazione ha nel suo significato intrinseco l’accettazione dell’altro, la mescolanza tra più popoli, più lingue e più culture.
Nulla è stato lasciato al caso: Tosca ha scelto la parola Morabeza – termine del creolo capoverdiano – per dare voce al suo ultimo lavoro discografico.
Morabeza è l’attaccamento alle proprie radici, alla propria terra.
E luogo più appropriato come quello della Masseria Pace per festeggiare insieme questa contaminazione culturale, dove il padrone di casa Camillo Pace, musicista e anima fortemente connessa alle sue radici e alla sua terra, non poteva esserci.
Ringrazio quindi Camillo Pace e la sua famiglia per rendere realtà un sogno di questa portata.
Ringrazio tutto il personale che questa sera è a lavoro per rendere altrettanto unica questa serata.
Ringrazio, come sempre, chi ha lavorato e sta lavorando dietro le quinte. Senza di voi tutto questo non sarebbe stato possibile.
Ringrazio i partner morali della serata, nello specifico la WePuglia Srl, Tour Operator specializzato in viaggi, soggiorni ed esperienze per tutta la Puglia, nella persona del CEO Giuseppe Napoletano questa sera presente.
Ringrazio per la sua presenza il Sindaco di Martina Franca, Gianfranco Palmisano.
E ringrazio voi. Per essere consapevolmente presenti e per godere di uno spettacolo che non avrà uguali in nessun altro angolo del globo terrestre.